martedì 21 aprile 2015

Spettatori del mondo.

L’ennesimo episodio di bullismo tra adolescenti, protagoniste - questa volta - due ragazze della provincia di Genova. Mercoledì 18 febbraio, nei giardini del ponente cittadino, una dodicenne (che per comodità chiamerò “G.”) viene massacrata di botte da una ragazza, “V”, di diciassette anni. Il movente: una lite con l’amica sedicenne, “S”, mandante del pestaggio. 
Morsa, presa a pugni e calci allo sterno, tirata per i capelli, G. non reagisce alla furia di V. Quel che ancora non sa è che il tutto viene ripreso dallo smartphone di S. in un filmato raccapricciante che durerà otto minuti. Ma ciò che davvero mi ha lasciata sconvolta, oltre alla furia della minorenne, è l’indifferenza di chi guardava. Attorno a questo scenario disgustoso si era formata una cerchia di ragazzi, troppo occupati a gustarsi la visione e a ridere per pensare di intervenire e fermare quell’oscenità. 
Immagini che fanno riflettere, in un’epoca in cui la vita diventa apparenza, in cui tutto ciò che accade sembra non toccarci minimamente, come si trattasse solo di un film. Siamo diventati spettatori del nostro stesso mondo, non ne facciamo parte davvero. Guardiamo, impassibili. Guardiamo, ma non vediamo, e c’è differenza tra i due verbi. Cos’è accaduto ai nostri valori? Dove si è persa la nostra umanità? Incapaci di provare emozioni autentiche quando necessitano di essere provate, però, poi, pubblichiamo sdegno e disapprovazione sui social network, condividiamo immagini contro la violenza, scriviamo citazioni importanti, e ci sentiamo anche in pace con noi stessi. 
Il punto è che non serve a nulla vendersi come eroi virtuali: la vita si vive sul campo, non davanti ad uno schermo. Combattiamo una guerra senza combatterla davvero, convinti che questo basti, e invece è logico che non basta mai. Ci hanno messo in testa che la tecnologia annulla la distanza, ma fino a che punto è vero? Quando le informazioni che riceviamo sono modificate, falsificate, plasmate in base a ciò che vogliono che noi pensiamo, quando consentiamo a noi stessi di credere che non fare nulla sia, in realtà, fare abbastanza per cambiare le cose.
Il punto è che la tecnologia è nata -forse- con l’obiettivo di accorciare le distanze, ma in concreto ne ha create più di quante pensasse di poterne abbattere.

di Cristina Gotti

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