lunedì 27 aprile 2015

Violenza nei videogames e strumentalizzazione dei media

Nell’ultimo periodo i media stanno strumentalizzando sempre di più il discorso della violenza nei videogames che, a detta loro, rende le persone violente ed inclini ad atti violenti; ma le cose stanno davvero così?

L’emulazione è un fenomeno che è sempre esistito, purtroppo, ma ora viene semplicemente scaricata la colpa sui videogames i quali vengono ritenuti “il male” e la causa di alcune situazioni spiacevoli.
In tanti si ricorderanno del massacro della Columbine High School avvenuto nel 1999. In questo caso due giovani studenti entrarono armati con fucili a pompa, ordigni artigianali, coltelli e pistole; spararono agli studenti che trovarono in mensa ed in biblioteca facendo un totale di 13 morti e 24 feriti. Il caso sconvolse l’America in quanto questo massacro spaventò l’intera nazione facendo riflettere su vari temi. La cosa su cui premettero maggiormente fù l’emulazione degli studenti dei giochi violenti a cui giocavano. In particolare i due studenti giocavano a Doom. Esso è senza dubbio un gioco molto violento, ma questo non significa che chi ci gioca diventi per forza un killer spietato.
Il mercato videoludico è pieno di giochi più o meno violenti, ormai il più citato (diciamo pure il capro espiatorio dei media) è GTA. Non importa quale gioco della serie di GTA, per i telegiornali è il male assoluto. È il gioco che vi fa diventare per forza dei ladri di macchine, degli svaligiatori, dei killer. Si perché,  secondo i telegiornali, i giornali, o alcuni siti di mala-informazione i videogiochi sono soggetti solo ad emulazione.
Chi scrive questi articoli solitamente non sa nulla del mondo videoludico, ma si limita a demonizzare un qualcosa che per molti ragazzi è un passatempo costruttivo.
Un altro discorso che non regge è il fatto che l’emulazione esiste da sempre e non è, quindi, un fenomeno nato con i videogames.
Per cui non è giusto che si scarichi la colpa solo sui videogames. Ma, poi, perché si deve vedere come un male la possibilità di immergersi in altre storie, in altre vite, in altri mondi?


di Paolo Ravanini

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