domenica 14 settembre 2014

La maieutica del libro


Leggere, secondo alcuni, è un po’ come fare un investimento. Anzi, un prestito. È prestare una parte del nostro tempo, donarlo anzitutto a chi ci ha messo fra le mani quelle pagine, poi a chi le ha stampate e quindi a colui che le ha scritte; una persona della quale – nella maggior parte dei casi  - mai avevamo sentito parlare. Leggere, insomma, sarebbe un atto economicamente rischioso: una sottrazione di ore potenzialmente spendibili in altre mansioni per prestare fiducia a “sconosciuti”col rischio poi di ritrovarsi coinvolti in un’operazione a fondo perduto.
In verità, i libri, tutti i libri, sono primariamente scatole preziose che se da una parte funzionano con la moneta del nostro tempo, dall’altra mettono a disposizione giacimenti di Tempo ancor più vasti. Se leggere è prestare, il libro è certamente restituire, o meglio ancora regalare. La lettura diviene perciò non una transazione a fini di profitto, ma un monumento alla convivialità, una crisalide nella quale racchiudere e lasciar fruire ad altri, in via definitiva, l’unica cosa che si possieda realmente: il tempo. In ogni pagina, infatti, si sommano ore di fatica e stagioni di impegno del lettore, alle ore dei personaggi, alle stagioni dello scrittore e all’immortalità dei concetti. Per questo, scegliere di aprire una di queste scatole magiche significa prestare e al contempo attingere e disporre a piacimento, in qualunque momento, di Tempo. La lettura è uno splendido travaso di Tempo, una democrazia del Tempo. Io do il mio, e contemporaneamente ricevo un tempo che altri hanno vissuto e che scegliendo di regalarmi, improvvisamente, si fa pubblico. La lettura è tramandare Tempo, una boccata d’ossigeno nella società della fretta.
Un libro ferma l’orologio degli impegni e regala una pausa di tranquillità. Gratuità e Bellezza: ecco le parole chiave, i semantemi sottesi ad un simile discorso. Gratuità come sinonimo di spontaneità e libertà, voglia di condividere senza altro fine se non il rendere partecipe della vera gioia anche chi ci sta intorno. E, di conseguenza, Bellezza come forma d’affetto sociale declinata nella semantica di  ciò che, parafrasando Leopold Kohr, direttamente riflette la combinazione di “appropriato” e “in un certo luogo”. Si, perché il Bello si lega immediatamente al concetto di armonia, di proporzione, di giusta misura e dunque di equità; mentre l’utile è piuttosto una stima, il ragionamento proprio di un contesto ristretto ove nulla ha valore se non come strumento, tramite, mezzo per conseguire altri fini.
Ora, se tutto ciò corrisponde al vero, -fra le tante incertezze di questi tempi –donare un futuro al Libro significa promettere un domani all’umanità stessa.
Trasmettere il piacere per la lettura, significa promuovere un’autentica voglia di condivisione, ossia la reciprocità non negoziabile racchiusa nella semantica del dono. Significa, non soltanto poter attingere al serbatoio della Memoria evitando così di compiere sempre i soliti ciclici sbagli, ma educare ad anteporre il Bello all’utile. Significa spostare l’accento dall’avere all’essere; muovere dall’utilitarismo che piega, recluta e asservisce ogni elemento come mezzo per un fine, all’elogio dell’inutile quale mantra per decolonizzare l’immaginario da certe moderne ossessioni.
Il giudizio del Bello, non a caso, è sempre di natura morale, mai di ordine economico.


di Michele Cavejari

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