La mensa offerta dall’Esu cambia gestione, ma il regolamento è sempre lo stesso.
Da qualche giorno a questa parte nei vari gruppi di Facebook dell’Università degli Studi di Verona le bocche degli studenti non sembrano piene di cibo, bensì di numerose opinioni contrastanti nei confronti dei servizi di ristorazione offerti dall’Esu e dall’università stessa che sembrano lasciarli a bocca asciutta.
La lamentela è sorta a partire dal fatto che alcuni di questi studenti non erano a conoscenza di un regolamento che effettivamente non era mai stato fatto rispettare nella realtà; tale regolamento prevede il fatto che in mensa non si può mangiare cibo portato da casa propria e tantomeno condividere un vassoio con un altro compagno, ma ogni pasto deve essere usufruito dal singolo studente che lo acquista per mezzo del badge distribuito dall’Esu a tutti gli studenti frequentanti l’Università degli Studi di Verona, l’Accademia di Belle Arti o il Conservatorio di Musica, secondo le tariffe in vigore.
Effettivamente fino ad oggi nessuno aveva avuto di che lamentarsi perché tutto era concesso, ma allora cosa è cambiato?
Sembra che ora le regole debbano essere rispettate a tutti i costi senza però che gli studenti ne prendano davvero coscienza.
Ecco allora un’ottima controproposta studentesca che riconosce forzatamente i propri obblighi, ma a cui non vengono riconosciuti dei semplici diritti: molti studenti, soprattutto pendolari, non sempre hanno voluto usufruire del servizio mensa perché troppo caro, nonostante le riduzioni, o perché ad esempio per personale assegnista non viene nemmeno riconosciuto uno sconto; dunque se a persone con cibo proprio viene negata una sedia al coperto e al caldo, la domanda che sorge spontanea a tutte loro è “devo restare a digiuno?”.
Ecco allora l’appello: in aula non si possono consumare cibi o bevande, in mensa non possiamo sederci accanto ai nostri compagni, ma allora dove potremmo mai consumare il nostro personale pasto in santa pace? Per terra nei corridoi forse?
La semplice proposta che viene fatta è quella di allestire un qualsiasi spazio universitario, con tavoli e magari fornetto a microonde, dove le persone che si portano il cibo da casa possano consumarlo senza doversi far cacciare e perciò “mangiar nervoso” per pranzo.
Tutte queste voci richiamano all’attenzione l’università, quale luogo di cultura, la quale dovrebbe permettere a tutti i suoi studenti di poter scegliere se mangiare in mensa oppure no, e allo stesso tempo riconoscere e trasmettere i fondamenti base dell’educazione, ossia che non si può mangiare per terra o da in piedi e che le regole devono essere fatte in base ai bisogni dell’intera comunità studentesca e non solo per essere imposte dall’alto.
Propongo qua, quello che proprio in questi giorni è stato avanzato dagli studenti: raccogliere firme, anche tramite lo strumento on line dell’e-learning, al fine di ottenere un luogo di ristorazione parallelo a quello offerto dall’Esu.
Tutti sono liberi di parlare in nome dell’educazione e del galateo.
di Irene Monge
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