Le
nostre dogmatiche certezze sul sesso,
lungi dall’essere fedele espressione di una nuda e oggettiva realtà, rientrano
in un complesso di precise nozioni interiorizzate. Il corpo non è un oggetto,
quanto primariamente uno snodo di significati entro un preciso sistema
simbolico: è carne ed insieme progetto,
soggettività rappresentata e tradotta mediante specifici canoni culturali
nonché primario veicolo di comunicazione imbrigliato nella dialettica del
cosiddetto binarismo sessuale. Quando
Michel Foucault ci parla di bio-potere,
inerisce propriamente alla natura della sovranità moderna quale dispositivo la
cui legittimità si fonda sulla scienza medica e il cui sapere dà forma alla
realtà strutturando la corporeità dei soggetti. Un simile apparato (aleatorio e
onnipervasivo) asservisce non paventando punizioni ma promettendo sicurezza,
catechizzando nel nome del benessere e avanzando pretese sulla gestione della
vita intera. Il suo sguardo clinico piega la percezione alle proprie categorie
e disciplina i corpi, attribuisce loro plausibilità in base alla sua logica.
Siamo dinnanzi ad un raffinato sistema messo nelle condizioni di far presa
sulla topologia mentale dell’individuo di modo che questi sia il primo
controllore di se stesso. Il bio-potere fornisce la grammatica esclusiva
tramite cui generarsi come testo,
riconoscere autonomamente la normalità
a partire dalla costituzione del patologico e, mediante una capillare rete di
norme e convenzioni linguistiche, produrre sia l’eterosessualità che
l’omosessualità quali “tipi umani”. Il sesso, da piacere diviene questione di verità.
Non
tutta la Carne però si presta ad essere facilmente manipolata. Parliamo del transessuale e del transgender; laddove il primo sente di appartenere al sesso opposto
rispetto alla nascita, mentre il secondo sceglierebbe di collocarsi nel limbo
intermedio – legalmente non riconosciuto – fra i poli del maschile e del
femminile. Ora, queste tipologie identitarie lasciano emergere due nodali
questioni: l’eccedenza del genere rispetto al sesso che nulla dice sul suo
destino, e l’irriducibilità dei corpi all’operatore logico del binarismo.
Particolarmente
eloquente, peraltro, è il caso del transgender. Quali sono le conseguenze del
dover per forza ridursi all’una o all’altra categoria? Un misconoscimento
totale di tutte le persone in cammino verso la propria declinazione
identitaria; un netto rifiuto nel concedere significato al corpo a monte del
suo congelamento giuridico; una sottile violenza che nega verità alla transizione
ed alla eventuale scelta di definitiva indeterminatezza.
Bene,
sfida decisiva del nostro tempo - sostengono i difensori del movimento lgtiq[1] - consta
proprio nel liberare il sesso dal sapere per
emancipare l’immaginario dal retaggio storico che va attribuendo al maschio
eterosessuale lo status privilegiato. A ragione, non dovremmo lasciarli soli in
questa difficile impresa; la posta in gioco è altissima: scarcerare il sesso
significa scalzare dalla mente la più coriacea radice retorica del tecno-capitalismo.
Spezzare il monopolio maschilista di costruzione dei corpi significa inaugurare
una nuova ed intentata possibilità d’approccio al reale, una diversa lettura
dei rapporti umani oggi invero esclusivamente fallocentrici vieppiù nella
semantica economica (crescita, sviluppo…).
Volete
conoscere la salute di una democrazia? Monitorate il grado di libertà delle
minoranze.
di Michele Cavejari
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