Da
qualcosa di terribilmente brutto Malala Yousafzai è riuscita a creare qualcosa
di incredibilmente bello. Sì, le hanno sparato; e lei si è rimessa in piedi.
Sì, il Time la considera una delle persone più influenti nel mondo, e non ha
ancora finito il liceo. Sì, a diciassette anni è diventata la più giovane
vincitrice del Premio Nobel per la Pace. La sua storia toglie il fiato e merita
di essere ascoltata.
Nata, non molto tempo fa, nell’incantevole Swat
Valley, in Pakistan, Malala ha dovuto rendersi conto da subito che la vita per
una giovane donna non è facile, soprattutto se vivi in una regione che un
gruppo fondamentalista islamico tiene in pugno da anni. Ma per lei le cose sono
state fin da subito diverse.
Malala frequenta infatti la scuola fondata da suo
padre, Ziauddin Yousafzai, attivista anti-talebano, poeta e soprattutto forte
sostenitore del diritto all’educazione per ogni essere umano (donne comprese).
Ed è proprio qui che la sua carriera da attivista per i diritti umani prende
l’avvio: quando i talebani cominciano ad attaccare le scuole in cui
l’istruzione è prevista anche per il sesso femminile, l’undicenne Malala tiene
un illuminante discorso a Peshawar, Pakistan. Il titolo del suo intervento è:
“Come osano i Talebani ostacolare il mio diritto fondamentale all’istruzione?”.
Dal 2009 comincia a scrivere un blog per la BBC,
sotto lo pseudonimo di Gul Makai, in cui racconta com’è vivere sotto la
minaccia talebana che vuole impedire ad ogni ragazza di accedere all’istruzione
basilare. Il blog ha un certo successo, forse più di quanto i suoi oppositori
gradiscano, e Malala e la sua famiglia scoprono che sulla testa della
quattordicenne pende una condanna a morte decretata dai terroristi. Ma Malala,
più preoccupata per la vita del padre, è sicura che nemmeno i talebani si
azzarderebbero ad attaccare una ragazzina. E invece.
Il 9 ottobre 2012 è il giorno in cui la vita di
Malala cambia per sempre. Sulla strada che ogni mattina percorre per andare a
scuola, un uomo accosta l’autobus sul quale si trova con le sue compagne. Dopo aver
costretto l’autista a fermarsi sul ciglio della strada, chiede chi è Malala. È
l’ultima cosa che la ragazza ricorda di quella giornata. L’uomo le spara,
colpendola alla testa. Nello scontro restano coinvolte altre due ragazze. Le
condizioni di Malala sono critiche, viene trasportata prima a Peshawar e in
seguito a Birmingham, dove viene sottoposta a diversi interventi.
Nonostante le diverse operazioni chirurgiche, Malala
non ha subito danni permanenti: e già nel marzo successivo è pronta a
ricominciare la scuola, il suo più grande desiderio.
Il 9 ottobre 2012 è anche il giorno in cui una
pagina di storia è stata scritta: perché una ragazzina che si oppone ai
Talebani, per dire che è un diritto irrinunciabile quello all’istruzione, e che
mai a nessuna donna, in nessun luogo nel mondo dovrà essere impedito di
accedervi, e che questa battaglia vale anche la propria vita, sta scrivendo una
pagina in cui, finalmente, vince il bene, in un capitolo di puro terrore.
In riconoscimento al suo lavoro instancabile in
difesa dell’educazione per tutti e tutte, il 10 ottobre di quest’anno le è
stato conferito, insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi, il Premio
Nobel per la Pace. Malala è la più giovane donna ad aver mai ricevuto questa
onorificenza. Il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ne parla come di
una “coraggiosa e gentile sostenitrice della pace che attraverso un atto
semplice come andare a scuola è diventata un’insegnante per tutto il mondo”.
Alla veneranda età di diciassette anni Malala ha già
scritto un’autobiografia: I am Malala: The Story of the Girl Who Stood Up for
Education and was Shot by the Taliban, da cui traspare un coraggio che
trasuda umiltà e una profondissima ammirazione per il padre (caldamente
consigliata la lettura a chi voglia stupirsi di quanto una diciassettenne possa
fare con un quaderno e una matita)
Per la cronaca, anche Malala ha avuto il suo Sweet
Sixteen. Al posto di una festa con tutti i suoi amici però, lei ha tenuto un
discorso alle Nazioni Unite. Che poi le ha dedicato la giornata, rinominandola
“Malala Day”. Ma lei ha umilmente risposto che il Malala Day non è la sua
giornata, ma “di ogni donna, di ogni ragazza che abbia mai alzato la voce per i
propri diritti”.
di Chiara Boni
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